LE FRAGILITÀ DELLA PUERPERA
Le settimane successive alla nascita di un bambino sono faticose tanto per il fisico quanto per la psiche della donna. Fra cambiamenti fisici, l’emergere di emozioni nuove ed intense, imprevedibili ed inarrestabili, le nuove responsabilità, l’adattamento ad una nuova fase della vita, e poi la stanchezza fisica e lo sbalzo ormonale, i primi tempi dopo la nascita di un figlio diventano particolarmente gravosi, e richiedono alla donna una quantità di energie fisiche e psicologiche che non tutte hanno e per le quali è necessario del tempo per recuperarle.
E mentre la fisiologia del corpo prende in forte considerazione questa fase, che viene definita appunto “puerperio” e descrive un periodo di 6 settimane circa dal parto durante in quale il corpo ritrova gradualmente la sua normale funzionalità, perché non si riconosce alla mente, alla psiche, un tempo di ripresa e di adattamento? Perché ci si aspetta dalla donna che sia subito adeguata al ruolo, performante ed anche assolutamente felice?
Gli estrogeni sono gli ormoni responsabili dello stato di benessere che accompagna la gestazione; così come il drastico calo degli stessi dopo il parto può essere il responsabile del senso di tristezza che alcune donne sperimentano nei primi giorni che seguono la nascita. Dunque mentre il corpo conosce da solo la strada verso la normalizzazione, il ritrovamento dell’equilibrio psicologico ha dei tempi non definibili a priori, che fanno riferimento specificamente alle esperienze della donna con la maternità, ai suoi vissuti emotivi passati e presenti, alla sua autostima, ossia a quanto percepisca se stessa come “adatta” al ruolo di accudimento e crescita di un neonato, alla solidità della relazione di coppia nella quale il bimbo arriva. Affrontare tutte queste rivoluzioni emotive, adattarsi ai cambiamenti ed imparare a gestirli necessita di tempo.
Sapere che tutto ciò è “normale”, che non bisogna necessariamente sentirsi felici, e che è un periodo di transizione, facilita la possibilità che la donna non si colpevolizzi e chieda tempestivamente sostegno in primo luogo ai familiari e secondariamente, se necessario, ad esperti che la sostengano nella strutturazione del suo senso di maternità.
È importante anche sapere che non si nasce con la capacità innata di accudire un neonato, ma è qualcosa che si impara, e si impara insieme al proprio figlio, il quale non è uno spettatore passivo della situazione, bensì un attore protagonista con una sua personalità da conoscere con curiosità e senza averne timore. Tutto ciò che non si conosce spaventa l’essere umano, ma se tale paura avesse fermato qualcuno non avremmo raggiunto questo livello di progresso. Imparare a conoscersi è prioritario fra madre e figlio, e mentre sembra che nei primi tempi il neonato non faccia altro che mangiare e dormire, in realtà sta apprendendo dalle persone che lo accudiscono informazioni preziose sulle loro emozioni, i loro comportamenti, i loro modi d’agire, sta riempiendo il suo baule dell’esperienza con attenzione e curiosità. Anche la mamma deve avvicinarsi al suo bambino con la curiosità tipica del fanciullo, perché ogni figlio è un universo da scoprire.